L'analisi della posizione geografica di un centro abitato vale assai spesso a porne in rilievo le origini ed alcune costanti del suo divenire storico. E' questo certo il caso di Atripalda e, prima ancora, della prossima città irpino-romana di Abellinum. Sin dalla più remota antichità, infatti, la valle del Sabato ha costituito una via naturale di prim'ordine tra l'Irpinia ed il Sannio, oltre ad essere punto di transito obbligato per il passaggio dal Napoletano e dal Salernitano verso la Puglia e l'Alta Irpinia.
Il fiume ha inoltre sempre rappresentato, sia pure per motivi diversi, una risorsa non trascurabile per la popolazione, nelle età più antiche per la pesca, poi per l'irrigazione dei campi, ed infine per l'alimentazione di mulini e vari altri opifici attraverso lo sfruttamento della copiosa energia idraulica. Ben diversa dall'attuale - va infatti ricordato - era nel passato la portata del Sabato, drasticamente ridotta nella seconda metà del XIX secolo dalla quasi completa captazione delle sue sorgenti a beneficio dell'acquedotto di Napoli.
La natura e la geografia hanno quindi efficacemente concorso nel determinare alcuni prerequisiti essenziali della storia di Atripalda e, ancor prima, di Abellinum.
Centro religioso, militare e commerciale degli Irpini, Abellinum fu espugnata dai Romani nel 293 a.Cr., dopo la sanguinosa battaglia di Aquilonia, che concluse le guerre sannitiche (343-292).
Da allora, e fino alla "guerra sociale" (91-89 a.Cr.), Abellinum fu "civitas foederata" di Roma, tenuta cioè a prestazioni e tributi allo Stato romano, ma dotata dei propri antichi ordinamenti e di ampia autonomia amministrativa.
La "guerra sociale" e la successiva guerra civile tra Mario e Silla (86-82 a.Cr.) segnarono una svolta decisiva nel processo di romanizzazione dell'Irpinia e del Sannio. Nell'89 a.Cr., infatti, Silla, occupate Pompei, Ercolano e Stabia, e disfatto presso Nola un esercito italico, con una marcia fulminea penetrò in Irpiniia, espugnando Eclano, mentre il suo luogotenente, l'eclanese filoromano Minanzio Magio, conquistava Conza e sottometteva con spietata violenza le popolazioni irpine insorte contro Roma.
Annientate le resistenze degli Italici e sconfitti i democratici romani, Silla creò le colonie mlilitari di Pompei, Nola, Abella, Abellinum ed Eclano, poste tutte lungo la direttrice che, pochi anni prima, egli aveva seguito per penetrare nelle zone più interne dell'Irpinia. Con l'arrivo dei coloni romani e delle loro famiglie, Abellinum ed il suo territorio videro quasi del tutto modificata la propria originaria fisionomia etnica, culturale ed economica; è ormai certo che la colonia romana abbia inglobato l'Abellinum irpina, un piccolo centro abitato che si sviluppava su di un pianoro tufaceo quadrangolare alla confluenza tra il Sabato ed il torrente Rigatore, che domina l'attuale Atripalda da nord-ovest.
Come attestano alcuni frammenti di ceramica di tipo appenninico dell'età del bronzo, l'Abellinum irpina si era per altro a sua volta sovrapposta ad un più antico insediamento preistorico.
Si può fondatamente ritenere che, prima della deduzione della colonia romana, il circuito difensivo di Abellinum consistesse nell"'ager", un terrapieno rafforzato da una palizzata in legno, all'interno del quale gli Abellinates, sparsi lungo le rive del Sabato in "vici" e "pagi", convenivano per il mercato, le cerimonie religiose e l'amministrazione della giustizia, ed al riparo del quale si rifugiavano in caso di pericolo* A somiglianza del circuito difensivo esterno, le abitazioni, probabilmente non molto dense e numerose, dovevano consistere in edifici in legno, con rudimentali mura di fondazione. Abellinum non costituiva dunque un centro urbano nel senso moderno, anche se indubbiamente assolveva ad alcune funzioni proprie di una città. Del resto il grosso della popolazione non viveva accentrato in Abellinum, ma, secondo l'atavico costume sannita, abitava "vicatim", e cioè sparso in piccoli villaggi, spesso costituiti soltanto da pochi nuclei familiari.
Con la colonizzazione sillana si avviò l'edificazione di una vera e propria città, l'Abellinum romana, che inglobò agevolmente il preesistente centro irpino, sovrapponendosi ad esso. Il vasto pianoro tufaceo a forma quadrangolare fu cinto da poderose mura difensive, il cui circuito è ancora in parte visibile, mentre il centro urbano fu impostato su di una struttura geometrica e razionale. Esso era infatti attraversato da due strade maggiori (il "cardo" ed il "decumano"), che lo suddividevano in quattro quadrati, e che s'incrociavano nella piazza del For& 'Quattro porte sorgevano allo sbocco di queste strade, che, uscite dalla citta, continuavano attraverso l'area suburbana, dirigendosi rispettivamente a Nuceria, Beneventum, la Campania e l'alta valle del Calore.
Questo, assai schematicamente, fu il primo impianto urbanistico della nuova città. Tale poderosa ed impegnativa opera di edificazione e di urbanizzazione non avvenne naturalmente d'un colpo, ma continuò, quasi senza interruzioni, sino alla fine del I secolo a. Cr. durante il principato di Augusto, che ad essa diede, come vedremo, un nuovo impulso.
Non minori furono le trasformazioni provocate nell'ambiente economico sociale dalla deduzione della colonia romana. A questa fu dato da Silla l'appellativo ufficiale di "Veneria Abellinatium", in onore di Venere, dea prediletta dal dittatore romano, alla cui protezione questi attribuiva i suoi successi, ed il cui culto era molto diffuso tra i reduci delle campagne sillane in Grecia ed in Asia Minore.
Con la creazione della colonia militare di Abellinum Silla, oltre ad adempiere ad un obbligo di riconoscenza verso i suoi veterani, creava un vasto ceto di piccoli e medi proprietari, legati alla terra e politicamente fidati. Inoltre questi soldati-coloni avrebbero costituito dei presidii permanenti, grazie ai quali aree malsicure ed infide per Roma sarebbero state definitivamente controllate e sottomesse.
Ai coloni furono assegnate parti di quel vasto "ager publicus", sequestrato agli Irpini dallo Stato romano già ai tempi della guerra annibalica, ed ora ampliato da nuove confische.
Accanto alla popolazione privilegiata dei veterani, la quale costituiva l'aristocrazia della colonia, e che era iscritta alla tribù Galena, continuò però a sussistere l'elemento indigeno, in posizione economicamente e socialmente subordinata, ma che col tempo andò sempre più romanizzandosi fino all'integrazione completa, consacrata dalla sostituzione dell'osco col latino, dapprima nelle epigrafi e nei documenti pubblici, e poi anche nel linguaggio comune.
Anche l'ordinamento civico fu completamente romanizzato, con l'istituzione dell'"Ordo decurionum", il senato municipale, e delle magistrature della pretura, della questura della censura e degli edili, alcune delle quali, con nome latinizzato, risalivano tuttavia probabilmente al periodo del libero comune irpino.
Sul finire del I secolo a.Cr., Abellinum aveva ormai assunto un notevole sviluppo. Il territorio assegnato alla colonia era inoltre alquanto vasto e cospicuo. Esso confinava infatti con quello dei Picentini lungo le creste del Terminio, spingendosi poi fino alla piana di Montoro, per toccare quindi i confini di Nola, di Abella e dei Caudini lungo lo spartiacque appenninico di Montevergine e delle sue propaggini, mentre a nord-est confinavano con Abellinum i territori di Eclano, dei Liguri dei Campi Taurasini e di Compsa.
La funzione fondamentale attribuita da Silla alla colonia di Abellinum era stata quella di mantenere aperte e sicure le vie di comunicazione tra il nodo montuoso di Montevergine e quello del Terminio, in un'area di notevole importanza strategica tra la Campania e il Sannio, proteggendo altresì il fianco destro dell'Appia, la "regina viarum", che, attraverso Beneventum ed Eclano, costituiva a quell'epoca la più diretta ed importante via di comunicazione di Roma con l'Oriente. Tramontata con l'avvento dell'Impero tale funzione strategico-militare, Abellinum conservò e potenziò quella di attivo e vivace centro di traffici commerciali. La città sorgeva infatti all'incrocio di due importanti arterie. La prima risaliva da Nuceria a Beneventum, mentre la seconda, attraverso Abellinum, da Eclano scendeva a Nola per poi raggiungere Puteoli (Pozzuoli). Lungo quest'ultima arteria, che sostanzialmente era una traversa dell'Appia, erano condotti i prodotti pregiati dell'agricoltura e della pastorizia irpine ed appule. Questi, raccolti ad Eclano, invece di proseguire lungo l'Appia per Beneventum e Capua, venivano trasportati, con notevole risparmio di tempo, attraverso Abellinum ed il valico di Monteforte, sino a Pozzuoli, da dove proseguivano via mare per Roma, il grande emporio del grano pugliese.
La sua natura di florido centro agricolo e commerciale conferì quindi assai presto ad Abellinum il volto della tipica città romana di provincia, con un relativamente vasto e prospero ceto di proprietari terrieri ed imprenditori commerciali dalle solide basi economiche, e con una piccola ma orgogliosa "aristocrazia senatoria", che governava la città, costituita dai discendenti degli antichi ufficiali di Silla, che avevano guidato i coloni e ricevuto le parti più cospicue delle terre confiscate agli Irpini.
L'assetto definitivo alla colonia fu dato da Augusto, nel quadro della sua vasta opera di restaurazione della romanità.
L'imperatore, infatti, rafforzò Abellinum con un contingente dei suoi veterani (7-3 a.Cr.), a cui furono assegnate nuove terre, ritagliate dall"'ager publicus" o confiscate agli antichi proprietari. Contemporaneamente, nuovo impulso ricevettero l'urbanizzazione della città, con la costruzione di nuovi edifici pubblici e privati, e la romanizzazione del territorio della colonia.
A sovraintendere a tale processo, come "legato militare di Cesare Augusto", fu inviato dall'imperatore Publio Catieno Sabino, che aveva esercitato a Roma le cariche di tribuno della plebe, pretore, proconsole e prefetto dell'erario. Completato il suo ufficio, egli ottenne, per decreto del "Senato" di Abellinum, l'altamente onorifico titolo di "Patrono della colonia", colui cioè che per il suo prestigio e le sue benemerenze avrebbe dovuto in perpetuo rappresentare gli interessi della città presso l'imperatore e il Senato. La famiglia di Publio Catieno Sabino, od almeno un suo ramo, dovette inoltre stabilirsi ad Abellinum, nei cui pressi deteneva vasti possedimenti (i "praedia Sabina"). Cinque secoli più tardi, dal vecchio tronco del legato di Augusto era destinato a sorgere S. Sabino, uno dei primi e dei più gloriosi vescovi di Abellinum, che, al tramonto ormai dell'impero romano, doveva salvare, attraverso il messaggio cristiano, quanto di più nobile vi era nella civiltà classica, di cui l'impero augusteo era stato una delle più alte espressioni.
Per esprimere la propria gratitudine all'imperatore, i coloni, come attesta un'epigrafe, eressero nel Foro una statua al nipote e figlio adottivo di Augusto, Caio Cesare, "princeps juventutis", che doveva però di li a poco spegnersi, vittima anch'egli del tragico fato della famiglia Giulia. Altro diretto omaggio alla famiglia imperiale fu costituito dall'artistica ara marmorea circolare (oggi conservata presso il Museo Irpino), decorata all'intorno da scene che raffigurano Tiberio che sacrifica da Augusto e Germanico divinizzati. Al nome ufficiale della colonia venne inoltre aggiunto l'appellativo di "Livia Augusta".
Ma, più che a ciò, il nome di Augusto è legato a due delle più imponenti ed audaci opere dell'ingegneria romana, l'acquedotto della Campania e quello della valle del Sabato. Per rifornire di acqua le città della Campania, e la stessa flotta romana di base a Miseno, Augusto fece infatti costruire un grandioso acquedotto, che iniziava dalla sorgente Acquare, presso Serino, e che, con ardite ed estesissime escavazioni in roccia, e con imponenti opere in muratura, condusse le acque del Sabato a Nuceria, Pompei, Neapolis, Puteoli, Cuma e Miseno, dove terminava nella grande vasca della "Piscina mirabili". Tra le varie e notevoli opere di questo capolavoro d'ingegneria idraulica non può non suscitare particolare ed ammirato stupore l'arditissimo condotto sotterraneo, di circa 6 chilometri di lunghezza, che da Forino scendeva con fortissima pendenza nella piana di Montoro. Questa galleria è rimasta senza paragoni e tecnicamente insuperata sino alle conquiste dell'ingegneria della seconda metà del XIX secolo.
Opera meno eccezionale, ma anch'essa rilevante, fu l'altro acquedotto, costruito quasi contemporaneamente al primo, che captava le acque della sorgente Urciuoli e le conduceva sino a Beneventum.
Questo acquedotto serviva anche Abellinum, attraverso un grande ponte-acquedotto dalle poderose arcate (ancora in parte visibili alla fine del '700), che dalla collina del castello valicava il Sabato e raggiungeva il centro urbano. Il condotto principale, aggirata Abellinum da sud-est, costeggiava invece la riva destra del Sabato, che attraversava con un altro imponente ponte-acquedotto all'altezza dell'attuale bivio di Prata.
L'ottimo stato di conservazione di quest'acquedotto, oltre che dalle rilevazioni ottocentesche compiute in occasione della costruzione dell'acquedotto di Napoli, è stato altresì confermato da numerosi e recenti rinvenimenti e scoperte, che ne hanno portato in luce alcuni tratti. Entrambi gli acquedotti furono inoltre quasi contemporaneamente restaurati in età costantiniana, il primo a spese dell'imperatore, il secondo del "patrono" della colonia, l'ex console Caio Egnazio Certo.
Anche l'imperatore Alessandro Severo (222-235 d.Cr.) rafforzò Abellinum con un contingente di veterani, provenienti per massima parte dall'Asia Minore. In onore dell'imperatore fu quindi aggiunto l'appellativo di "Alexandriana" al nome ufficiale della colonia, che venne così ad essere definitivamente denominata "Colonia Veneria Livia Augusta Alexandriana Abellinatium". Alla fine del III secolo, proprio mentre ferveva ad Abellinum la predicazione cristiana di S. Ippolisto, anche l'imperatore Diocleziano assegnò ai suoi veterani terre della colonia abellinate.